STORIA DELLA BUMONIA

Nel 1977 il romanzo Lo Sporco, di Giuseppe Vaccarino, vinse il premio “L’inedito” e uscì per i tipi di Marsilio. Un quotidiano a tiratura nazionale, di cui non ricordo il nome, pubblicò una recensione – a opera di chi, neppure lo ricordo –, di cui però ricordo il titolo: “Un Voltaire in grisaglia”. Se in relazione a quel primo romanzo il paragone con Voltaire sembrò calzante, tanto più sarebbe lecito riproporre ora quel confronto a proposito di questa Storia della Bumonia. Non solo per sottolinearne, come allora, la vicinanza allo spirito critico e umoristico dell’illuminista parigino, ma anche questa volta, per cogliere l’oggetto della medesima critica e del medesimo umore, proprio nella stessa concezione voltairiana della Storia. Come la stragrande maggioranza dei filosofi, il francese ritiene di poter scorgere, sottostante alle vicende storiche, un fil rouge, un senso recondito ma razionale, un significato intrinseco conducente a uno scopo. In questo romanzo, redatto nella forma dell’elaborazione di una collazione di cronache, Vaccarino si diverte, e ci fa divertire, a smascherare con ironia la vanità e addirittura la natura irrimediabilmente nefasta di tutte le teorie conoscitiviste che hanno la Storia come oggetto. Vaccarino sa bene che la Storia – con o senza maiuscola – è ciò che si rende irripetibile nel tempo (come la Geografia lo è nello spazio) proprio perché legata a singolarità di eventi impossibilitati per definizione a sovrapporsi esattamente l’un con l’altro. Come non possono darsi due Madagascar, così neanche due Prese di Porta Pia, completamente identiche. Può darsi che in un certo qual senso, la Storia possa dimostrarsi magistra vitae. Ma certamente non può essere considerata indagabile – con qualsivoglia metodo: scientifico o filosofico o quant’altro – al fine di dimostrare la necessità di ciò che è avvenuto, sulla base di scopi trascendenti, o peggio ancora al fine di prevedere lo svolgimento di avvenimenti futuri.

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