Sebastiano Nucera

NEURO-BIOLOGIA DELLE PRATICHE RELIGIOSE

Nell’ambito degli studi sui riti, gli stessi rappresentano un argomento di ricerca dai panorami ampi e contemporaneamente con confini sfumati che, a seconda della prospettiva di indagine scelta, possono ampliarsi o ridursi sia a causa della diversità ed eterogeneità degli oggetti che vi sono inclusi, sia in relazione al modello interpretativo che si decide di utilizzare. L’evoluzione della religione e la sua possibile funzione adattiva sono state di recente oggetto di attenzione da parte di ricercatori con diversi approcci teorici e metodologici, e, in modo particolare, da parte di scienziati cognitivi e psicologi evoluzionisti (Atran 2002; Barrett 2000; Bering 2005; Boyer 2001; Bulbulia 2004a, 2004b; Guthrie 1993; Kirkpatrick 1999; Mithen 1996, 1999). Uno dei problemi più discussi, fonte di un acceso dibattito, concerne l’importanza della selezione dei gruppi e di quella individuale per l’evoluzione dei sistemi religiosi (Cronk 1994a, 1994b; Rappaport 1994; Sosis 2003a; Sosis e Alcorta 2003). A partire da una robusta eredità teorica che inizia con Durkheim (2005), gli antropologi evolutivi hanno ipotizzato che i comportamenti religiosi costituiscano un contributo determinante per la coesione sociale. In tale prospettiva, questi teorici tendono a situare i riti religiosi in un contesto che supera l’immediata funzione coesiva o coercitiva per diventare un comportamento evolutivo socialmente adattativo. La Teoria della segnalazione ha ricevuto notevole sostegno ed è corroborata da una corposa mole di studi (Sosis 2000; Sosis e Bressler 2003), che hanno messo in luce un significativo e positivo aumento della cooperazione successivamente alla partecipazione ad un rito religioso.

Continua a leggere l’articolo