Fabio Cannavò

DEMOCRITO RIDENS: LA FORTUNA E LA NECESSITÀ

«Perché ridi? Democrito: Rido perché mi sembrano ridicole tutte le vostre faccende, nonché voi stessi… Non vi è neanche una faccenda seria, giacché tutto consiste nel vuoto, nel moto degli atomi e nell’infinito» (LXVI = Lucian. Vit. Auctio). Tyche, to automáton, fortuitus, costano a Democrito diverse citazioni per lesa maestà dell’ordine divino . Dal caso (apo tou automátou) si originano “vortice” (ten dinen) e “movimento” (ten kínesin), si spargono atomi, si compone il mondo così com’è (eis taúten ten taxin; 18, 288 = 68 A 69). La taxis delle cose si guadagna con particelle «di moto casuale (tychaían) e imprevedibile (apronóeton)» che sfrecciano «senza sosta (synechós)» e «rapidissime (táchista)» (297 = 67 A 24). Sprezzante, Cicerone si chiede se tutto ciò che ci circonda, «bello e magnifico», possa mai derivare da un urto casuale: come se innumerevoli lettere d’oro, volteggiando qua e là, possano comporre gli Annali di Ennio (Cic. De nat. Deor. II, 37, 93).

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