Gianfranco Cordì

LA DISEGUAGLIANZA RAPPRESENTA IN SÉ UN RISCHIO PER LA SOCIETÀ NEL SUO INSIEME?

ABSTRACT. Il saggio indaga il rapporto intercorrente tra le diseguaglianze sociali e la rispettiva ricaduta culturale che esse recano con sé. Passando attraverso le figure del «cenobio» e delle rappresentazioni della «società liquida» di Bauman, Cordì introduce un discorso che conduce verso una nuova considerazione della «povertà». Facendo leva anche su alcuni versi di Francesco Petrarca, l’autore sostiene la tesi che la povertà è un fatto filosofico, ovvero che contiene in sé qualcosa di positivo, una sicurezza, qualcosa che, evidentemente, la ricchezza non ha. Non si tratta tanto di annullare tutte le ricadute pratiche e materiale degli stati di indigenza a mere parvenze o apparenze, quanto piuttosto di considerare la povertà come qualcosa di relativo a fatti culturali, a fattori ambientali e di contesto. La disparità economica permane (e dà anche il tono e la definizione della stessa povertà) ma l’elemento più determinante è adesso la considerazione meramente ideale, semantica, linguistica, formale. La povertà è vista da Cordì, infatti, come uno stato di indigenza – all’interno delle discriminanti sociali che formano il reticolato della collettività – da interpetrare non in termini strettamente economici, ma soprattutto culturali. In qualche misura, si sostiene in questo saggio che la povertà non è semplicemente un fatto economico. Essa non si risolve interamente nella minore distribuzione del reddito per alcune fasce sociali. Piuttosto essa si configura come qualcosa che contiene direttrici emancipative e speculative. In sé, la povertà non è povertà – nemmeno automaticamente economica. È un fatto della mente; è un progetto; va interpretata con categorie anche filosofiche e non solo monetarie. Va vista come un oggetto di studio ontologico.

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